29 Aprile

Ancora alle prese con il Parco dei Nebrodi.

Oggi lo aggrediamo da ovest ad est verso Floresta, in modo da completare l'itinerario della rivista, e questa volta nel senso di marcia originale.

Arriviamo alla portella della Miraglia e già che ci siamo decidiamo di fare un salto in cima al Monte Soro, dove spiccano delle antenne. La strada è segnata asfaltata, e molto probabilmente alla fine troveremo anche dei divieti, visto che si dovrebbe trattare di zona militare, ma siccome si tratta della cima più alta dell'intero complesso andiamo lo stesso.

Man mano che si sale, l'asfalto si fa sempre più rovinato fino a diventare una vera e propria sterrata, piena di solchi e buche. Probabilmente da qualche parte stanno facendo dei lavori, perchè più di una volta incrociamo dei camion che portano a valle della terra. Come facciano a passare su questa strada, oltretutto carichi, è un mistero. Giunti in cima troviamo un cantiere aperto in prossimità delle antenne. Un vero scempio, tanto più che siamo all'interno di un'area protetta, di un parco. Un posto di per sè molto suggestivo reso impraticabile ed ingodibile. La Pennina se la prende con i Siciliani, anche se forse la colpa è più dalla parte di esercito, carabinieri et similia, che a volte agiscono come se le leggi avessero valore per tutti, tranne che per loro. Del resto, sono gli stessi che prendono a cannonate Capo Teulada ....

Riscendiamo e prendiamo la nostra sterrata, che da programa ci dovrebbe portare a fare il "giro dei laghi".

Clicca per l'immagine grande. Fino al lago di Maulazzo incrociamo anche delle macchine. Nei giorni di festa il posto dovrebbe essere molto frequentato, si vedono anche attrezzature per picnic, una fontana di acqua potabile, tavoli e panche, bracieri per le grigliate e così via, ma oggi siamo praticamente solo noi e si sta benissimo. A differenza degli altri giorni, inizia anche a farsi sentire un po' di caldo... insomma, un bel posticino ed un possibile luogo di sosta per pranzo.
Siccome però è ancora mattina, e oltretutto non abbiamo nulla da mangiare, ripartiamo quasi subito e scendiamo per una stradella andando verso il secondo lago, e passando in un bel bosco ricominciamo ad incontrare tutta una serie di guadi piccoli e grandi.
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Ci fermiamo alla fonte Acquafredda, su una specie di balcone sul mare, e poi proseguiamo fino ad arrivare al laghetto di Biviera di Cesarò.
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Clicca per l'immagine grande. Il posto, come si dice a Roma, sarebbe anche gaijardo, messo com'è sulla cresta più alta dei Nebrodi, affacciato da una parte sull'Etna e sul Mar Ionio, dall'altra sul Tirreno e sulle Eolie. Dico sarebbe perchè, con il calduccio in arrivo, gran parte del panorama è coperto da foschia. Vabbè, sarà per la prossima volta..
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A sinistra una stradella promette di arrivare fino al mare: siamo tentati ma desistiamo, forse domani.

Continuiamo tra erti saliscendi, pianure verdissime che fanno capolino tra un bosco fitto ed ancora in foglie, numerosi piccoli guadi e cascatelle. Oggi il paesaggio è molto vario e suggestivo.

Incontriamo un altro laghetto, ma non riusciamo ad avvicinarci poiché c'è un cancello con accluso divieto: il cancello si potrebbe anche aprire, visto che è solo accostato, ma un sospetto omino/forestale che si vede in lontananza ci convince a passare oltre senza entrare.

Poche centinaia di metri più avanti, comunque, incrociamo la strada per un laghetto un po' più grande, il Lago Trearie, strada che prima scende dolcemente verso il lago, per poi abbracciarlo stretto e infine andare via verso sud.

Il lago fa parte di una riserva naturale, e da qualche parte abbiamo anche letto che quello in questo momento attorno a noi è un ecosistema particolare, dove tra l'altro sono solite far sosta diverse specie di uccelli migratori provenienti (o diretti, dipende dal periodo) dall'Africa.

E in effetti sul lago ci sono una infinità di uccelli, motivo per cui noi, che nello zainetto portiamo ormai da migliaia di chilometri un binocolo praticamente mai usato prima, ci affrettiamo a scendere per dare un'occhiata.
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Clicca per l'immagine grande. Un tratto di strada è stato sommerso dall'acqua, ma il guado è facile. Arrivati sull'altra sponda, ci fermiamo per fare il punto della situazione e, provetti naturalisti, sfoderiamo il binocolo per le nostre osservazioni, curiosi di scoprire di che razza di bestie si tratti.
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Gabbiani.

Andiamo oltre, la strada è a tratti franata e proseguiamo fino all'ennesimo cancello chiuso con incluso "divieto di introdurre qualunque tipo di veicolo". Questa volta si entra. Il rumore dei motori si fa quasi impercettibile, il verde sembra assorbire il loro suono e domina un solare silenzio.

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Un altro contributo alla conoscenza della flora delle strade sicule

Siamo in terra proibita, ma sfiga vuole che prima di uscire dalla zona protetta incontriamo alcuni operai probabilmente addetti alla sistemazione del parco. Anche loro devono aver pensato di essere un po' sfigati, un po' per via delle loro facce come di chi si è appena svegliato invece di stare a lavorare, un po' per le loro teste, sulle quali è comparso come d'incanto un casco giallo, un po' per il fatto che, in giro, non c'era proprio nessun segno di lavori in corso. Fatto sta che recitiamo le parti di chi chiede e di chi fornisce informazioni, e poi proseguiamo fino alla catena del cancello di uscita, non tanto chiusa da un lucchetto, quanto annodata.
Fuori c'è il fiume Flascio, e sull'altra sponda la strada. Guado d'obbligo e di nuovo in marcia. Clicca per l'immagine grande.

Raggiungiamo la portella Castagnera, e incontriamo una strada asfaltata, ma dalla cartina si vede che tornando indietro per un tratto si può continuare passando per i monti. Così facciamo e questa volta sbuchiamo proprio a Floresta. Paninozzo, birretta, 4 chili di ricotta al forno nello zaino e si riparte.

Decidiamo di ripercorrere verso valle il tratto finale che ci ha portato in paese e tornare a Cesarò su stradine di fondovalle, giusto per evitare di dover rifare la stessa strada dell'andata. Tutto bene fino a quando la forestale ci mette lo zampino bloccando il percorso che avevamo studiato e costringendoci a scendere, su asfalto, fino a Maniace.

Cerchiamo comunque la nostra sterrata e alla fine, seppure con qualche difficoltà, la troviamo. Clicca per l'immagine grande.

La trazzera sale dritto per dritto su per la montagna e ci fa risparmiare un bel po' di chilometri: arrivati in prossimità del Cristo della Montagna, protettore di Cesarò, le ultime curve su asfalto ci riportano in paese ed al meritato riposo.