20 aprile

Arriviamo a Palermo alle 7 di mattina. Neanche il tempo per un cannolo, e subito verso l'agriturismo che farà da base per la prima tappa.

Direzione superstrada per Agrigento, uscita per Marineo e circa 7 km oltre il paese, all'altezza del KM 13.3, a sinistra si imbocca una strada sterrata con l'indicazione per l'agriturismo Val dei Conti. Simpatici i gestori, ma il livello della sistemazione è decisamente basso.

Il tempo di raccogliere informazioni e di cambiarsi, e via verso Ficuzza per avvisare la forestale, su consiglio degli autoctoni, del fatto che saremmo stati in giro per il parco.

Il forestale è gentile e dopo averci informati che non è possibile percorrere le strade del parco in moto, si apre un tantino e ci dà indicazioni sui sentieri e fotocopie di cartine, rimediate un po' in caserma ed un po' alla cooperativa del castello.

Imbocchiamo la vecchia ferrovia dimessa Palermo-Corleone e ci addentriamo nel bosco, passando di fronte alla vecchia stazione in ristrutturazione (forse diventerà un agriturismo). Proseguendo, però, il sentiero si interrompe in prossimità di una delle gallerie del tracciato, ormai non più percorribile perchè adibita ad altri usi, forse magazzino o funghiera. Clicca per l'immagine grande.

Nè abbiamo più fortuna con le altre stradelle di cui ci aveva parlato il forestale, che troviamo sistematicament chiuse da cancelli lucchettati. Torniamo al castello, e di lì ci avviamo seguendo le indicazioni per l'agriturismo Col di cucco, sopra Ficuzza.

La strada si fa subito bianca, una carrareccia in buone condizioni, e all'agriturismo scambiamo qualche parola con il gestore ed un gruppo di suoi conoscenti, che ci danno una serie di indicazioni sulle possibili strade da fare.

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Così girovagando tra i monti,
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passiamo anche a visitare una fonte, dove incontriamo un autoctono che ci dice che, continuando, la strada peggiora si un pochino, ma rimanendo comunque percorribile ci avrebbe ricondotto, dopo un largo giro, allo stesso incrocio da cui provenivamo.

In realtà la strada era una pista tagliafuoco con una discesa ripidissima, una salita ripidissima, un'altra discesa ripidissima ed un'altra salita ripidissima, separate da due marane di fango in cui la Pennina è riuscita a rendere autonoma la moto.

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Poi ci rechiamo sulla cresta orientale del monte e raggiungiamo una radura dalla quale si gode di un bel panorama.

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Da li scorgiamo lontano il "famoso" laghetto di Prizzi e decidiamo di arrivare fin lì. Continuiamo la sterrata che ci porta verso valle e che diventa una simpatica strada asfaltata a sagoma deformata. Da qui, un po' a naso un po' a GPS imbocchiamo una stradina che si dirige, stringendosi via via, nel bel mezzo di verdeggianti campi di grano.

La Pennina sentendosi dietro la schiena i colpi di lupara del contadino vorrebbe fare dietro-front, ma Nonno Peppe è fiducioso e prosegue, ora a destra ora a manca, fino a condurre la spedizione ad attraversare tutta la valle per rispuntare sul versante opposto, prima su una stradella e poi asfalto.

Qui c'è una fonte e dei locali, seppur resi un po' sospettosi dal fatto di trovarsi di fronte una ragazza (Miiii!, una femmina sul motore!) ci dicono che il lago è proprio dietro la curva. Facciamo anche noi rifornimento d'acqua e via verso il lago.

Cominciamo a circumnavigarlo, ma arrivati a delle case la strada sembra finire. Ci guardiamo attorno ma più di qualche mucca, un po' di cani che ci abbaiano e un piccolo gattino affamato, non troviamo.

Nel tornare indietro, incrociamo due ragazzi in motorino che si offrono di accompagnarci per farci vedere la strada che prosegue fino alla diga.

In effetti la strada esiste, ma è un piccolo sentiero che attraversa un fosso e risale dall'altro lato: sembra più che altro un sentiero per le pecore, ma a noi va benissimo anche così...

Arrivati alla diga, vediamo di fronte a noi una stradina in discesa ripidissima con un cartello che ne intima l'accesso con molta prudenza. Vediamo dove porta: si scende, scende, scende, si passa il fosso, si sale, sale, sale per riaffiorare esattamente dal lato opposto della diga, poche decine di metri da dove eravamo partiti...

Il resto della circumnavigazione sarebbe su asfalto, e quindi torniamo indietro (per la sbarramento questa volta!) per prendere una bella sterrata in salita che avevamo visto passando prima."Dove porterà? Ma che ci importa, andiamo!"

Ci troviamo di nuovo in mezzo alla campagna con a sinistra una verdeggiante collina. Incontriamo anche un agglomerato di case che sembrano abbandonate. Imbocchiamo una strada tracciata dai trattori ma poi si stringe e sembra non avere sbocchi. Torniamo indietro ed entriamo fra le case, ma nulla. Proviamo un'altra strada che si dirige verso il fosso, ma anche questa finisce nel campo di qualche contadino.

Va bene: si torna indietro. Nel girare però, sentiamo una voce lontana che grida. Ci giriamo e vediamo un vecchietto che, con delle buste di plastica legate agli stinchi, scende dalla collina verso di noi agitando le mani e ci dice: Aspettate! Arrivo!

Questo signore di almeno 80 anni è simpaticissimo, si rammarica di non avere nulla da offrirci, ci chiede da dove veniamo e ci dice che la strada per andare verso Campofiorito è proprio la prima di quelle che avevamo tentato, e che è percorribile visto che lui l'ha fatta qualche giorno prima con la 500 (!?!).

Non sa se arriva proprio a Campofiorito, ma di questi tempi, con i mezzi tecnologici! ...

Lo ringraziamo e nel salutarci non perde occasione per lamentarsi dell'Italia, del governo e di Berlusconi che non mantiene le sue promesse.

Riprendiamo il cammino e la stradella prosegue fino ad una montagnetta di terra oltre il quale c'è una strada appena tracciata, spaziosa e destinata, da quello che ci è parso, ad essere presto asfaltata.
Saltino sul dosso ed eccoci sulla sterro-tangenziale per Campofiorito, che si vede risalire in lontananza lungo il fianco di una collina.
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In paese facciamo benzina e ci troviamo coinvolti in una disquisizione con l'omino alla pompa sui massimi sistemi, la vita, le donne, il lavoro in Sicilia e a Roma, fino alla sua lapidaria conclusione: l'Italia non serve a niente!

Ricondotto il discorso su problematiche più terra terra, ci dice che da Collefiorito non ci sono sterrate per Corleone e che dobbiamo sbrigarci perché sta venendo a piovere. Ci lasciamo convincere e prendiamo l'asfalto. In pochi minuti siamo a Corleone e Nonno Peppe individua una stradina bianca che sembra scavalcare il monte verso Ficuzza e trova il modo per imboccarla. Promette bene.

Dopo un po', chiedendo a dei pastori se la direzione è giusta veniamo però disillusi: Di strada per Ficuzza non ce n'è! Dovete prendere per la galleria.

Non abbiamo molta voglia di fare la galleria e continuiamo. Chiediamo ancora, ed ancora ci viene risposto: Non c'è strada per Ficuzza!

Un po' delusi, raggiungiamo la statale; la percorriamo con nel cuore la certezza che una strada comunque esista, anche perchè qualche cosa che superava la montagna prima si era intravista, e la direzione sembrava proprio quella giusta.

Stufi del nastro nero, ci buttiamo su una mulattiera a destra, e dopo essere saliti per un po' riusciamo finalmente a raggiungere la stradina che corre sul fianco del monte, quasi parallela alla statale e che molto probabilmente partiva già in prossimità di Corleone. Piano piano ci addentriamo, e dopo innumerevoli cancelli arriviamo ad intravedere sotto di noi l'ormai nota Ficuzza.

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Ficuzza - il Castello

Birretta di rito ma Pennina, non doma, propone di percorrere, anche solo per un piccolo pezzo, la strada della ferrovia in drezione di Corleone. Una prima stradina, al cui imbocco abbiamo visto delle traversine, si perde nel bosco e una recinzione impedisce di imboccare una sterrata ancor più promettente.

Torniamo indietro e troviamo l'imbocco vero della sterrata ma è all'interno dell'area di parcheggio di un ristorante. Nonno Peppe è stanco, pronuncia a mezza voce Ma se rimaniamo chiusi dentro? e riprende la strada di casa, con puntatina al laghetto dello Scanzano.

Cena luculliana nell'agriturismo e nanna con un sonno profondissimo, soddisfatti di questo primo giorno di escursioni.

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