24 aprile

Ci spostiamo verso l'Etna e decidiamo di fare una tappa a metà strada. Il paesino, di cui non ricordo il nome, ci ispira, soprattutto perché abbiamo provato la pasticceria e ci siamo stufati di andare in macchina ;o), e allora ci fermiamo.

Ci alloggiamo nell'unica pensione/trattoria del paese, scarichiamo tutto e dopo poco siamo in marcia.

Non abbiamo particolari indicazioni da seguire, ma ci affidiamo alla cartina che riporta alcune strade bianche in zona che potrebbero rivelarsi interessanti.

Girando, iniziamo tra l'altro una attività meritoria, anche se di difficile realizzazione: catalogare le innumerevoli specie di piante che crescono sul ciglio, e solo sul ciglio, delle strade asfaltate siciliane.

In quasi nessun'altra parte del mondo abbiamo mai visto una varietà di specie diversissime per forma, colori e dimensione paragonabile a quella trovata in questa particolarissima nicchia ecologica. A lungo ci siamo chiesti il perchè di questo proliferare, e col tempo siamo giunti a formulare alcune ipotesi che affondano le proprie radici e giustificazioni essenzialmente, ma non del tutto inaspettatamente, nella psicologia e nel modo di fare siculo.

Così come per molte altre cose relative alla "cosa pubblica", anche nel caso delle strade in quest'isola si ripete un "ciclo di vita" che prevede una costruzione iniziale... e poi basta. Non più manutenzione, nè aggiustamenti, nè nulla.

Nei campi intorno, viceversa, dove c'è un padrone che ha qualche interesse proprio, è tutto bello arato e mantenuto.

E in quella terra di nessuno tra il centro della carreggiata, dove passano le auto, e la banchina, dove non riesce ad arrivare il trattore, c'è spazio per i nostri vegetali, che nascono e crescono tra le spaccature dell'asfalto in assoluta libertà e tranquillità, raggiungendo anche dimensioni di tutto rispetto.

E, qui di seguito, riportiamo un primo contributo fotografico, altri ne seguiranno nel corso del viaggio, in attesa di una trattazione più esauriente, approfondita e scientificamente corretta.

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Per quanto riguarda, invece, stradelle e trazzere non abbiamo trovato nulla di significativo. Solo strade che un tempo dovevano essere percorribili e collegavano le varie masserie che pullulano nella zona, ma che orma i sono semidistrutte, insieme con gli edifici di queste vecchie e una volta bellissime fattorie. Giusto qualche saliscendi e qualche incontro ravvicinato.

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E' la sera che la giornata si fa un po' più, come dire, movimentata.

Arrivati alla pensione, lasciamo le moto all'ingresso del ristorante senza neanche legarle perchè tanto, come diceva la moglie del proprietario, da queste parti non ha mai toccato nulla nessuno.

Ci sediamo, pizzetta, birretta, due chiacchiere e un grappino in attesa che si liberi un po' il figlio, visto che nel box per la notte comunque ce le avremmo messe volentieri e le chiavi ce le aveva lui che però stava servendo ai tavoli. Ad un certo punto l'oste rientra in sala e ci chiede un po' titubante:

Oste: Ma le moto, erano due o una sola?

(Innanzitutto, perchè erano? E poi, naturalmente) Noi: sono due.

Oste: E allora una se la sono portata via.

Apriti cielo. La moglie dell'oste, che ci aveva detto qui nessuno tocca mai nulla, color verde pallido. Il figlio che scatta via con il cellulare all'orecchio. Le amiche della moglie dell'oste, l'oste, i clienti della pizzeria ed i passanti, tutti intorno a dire che non era possibile, non era mai successo, "qui nessuno...(ma li mortè...)", "Non ci posso credere!", eccetera eccetera.

Noi sul marciapiede un po' imbambolati, a guardare dove una volta c'era il TT, ed ora c'era solo il vuoto. Il nulla. Un deserto. Io non ci potevo credere veramente. L'unica speranza, quella specie di saetta del figlio dell'oste che avevamo visto correre via.

Ci riportano in sala e ci fanno sedere. Uno dei clienti che fino a poco prima era al tavolo accanto al nostro guardando la partita, si siede con noi e ci dice "Io non torno a casa e non mi sposterò di qui fino a quando non vi avranno riportato la moto", mi offre un grappino invitandomi a non alzarmi da tavola e mi assicura che in poco tempo le cose si sarebbero sistemate. Ha un orologio inguardabile, gigante, quadrato e rosso come il suo cinturino, ma a parte questo ci fa piacere che sia con noi mentre, credo, mezzo paese sta cercando il grande @#$#@& che si è fregato la mia moto.

Una grappa. La Pennina che mi guarda e non parla, con gli occhi un po' lucidi. Un'altra grappa, l'omino mi sta raccontando qualcosa e nel frattempo la partita è finita.

All'improvviso arriva un tipo che mi chiama e mi fa: potrebbe uscire a vedere se è tutto a posto?

Era tutto a posto.